L'autolesionismo

Claudia Provenzano

Ferite fisiche che coprono ferite psicologiche

L’autolesionismo è un comportamento che danneggia il proprio corpo attraverso lesioni autoinflitte di varia origine (tagli, bruciatore, scorticature…), dirette e intenzionali.

L’autolesionismo è frequente nei disturbi di personalità borderline (ma talvolta anche negli altri disturbi di personalità) e può comparire in soggetti con disturbi d’ansia, depressione, disturbi del comportamento alimentare.


Funzioni dell’autolesionismo

Le condotte autolesive servono a raggiungere diversi scopi, servono come:

a) strategia di gestione della disregolazione emotiva

b) punizione autoinflitta

c) definizione dei confini del sé

d) modo di comunicare un disagio e di chiedere aiuto


a) autolesionismo come strategia di coping

L’autolesionismo può costituire una strategia per fronteggiare la disregolazione emotiva: di fronte allo stato emotivo indesiderato e vissuto come intollerabile, il soggetto si ferisce cercando di ripristinare uno stato tollerabile. In questo senso l’autolesionismo sembra assumere la valenza di una strategia disadattiva di coping . Nel 2007 David Klonsky passa in rassegna diciotto studi, comprensivi di self-report e studi di laboratorio, sulle motivazioni e sulla fenomenologia dell’autolesionismo al fine di meglio comprendere il fenomeno e le funzioni cui risponde. A partire da questo studio il ricorso all’autolesionismo avviene primariamente come strategia di regolazione emotiva, al fine di alleviare emozioni negative acute e ridurne l’insorgenza. La messa in atto di comportamenti autolesivconsisterebbe dunque nel trasformare in sofferenza fisica (apparentemente più reale, visibile e dunque più facilmente gestibile) una sofferenza emozionale che non si è in grado di gestire: per un po’ ci si occupa solo del dolore fisico, distogliendosi temporaneamente da quello interiore. Il modello di funzionamento dell’autolesionismo viene descritto come segue:

  • un’emozione negativa acuta precede la messa in atto del gesto autolesivo;
  • l’intenzione principale della messa in atto del gesto è il fronteggiamento e la riduzione dell’emozione negativa;
  • l’autoferimento determina una riduzione dell’emozione negativa ed una sensazione di sollievo: il taglio e il dolore causano infatti a livello cerebrale (ipofisi) un rilascio di endorfine che agiscono come antidolorifici naturali inducendo rilassamento e piacere (le endorfine sono infatti chiamate “ormone della felicità”). Ciò provoca dipendenza e assuefazione così che il soggetto è rinforzato a ripetere le condotte autolesive che gli producono piacere e al contempo ad infliggersi ferite sempre più profonde per ottenere il medesimo effetto.

Alcuni studi hanno messo in evidenza il ruolo dei vissuti traumatici nelle condotte autolesionistiche. L’incapacità di regolazione delle emozioni deriva infatti soprattutto da esperienze traumatiche vissute durante l’infanzia, nonché da uno stile di attaccamento di tipo insicuro o disorganizzato.

b) autolesionismo come punizione autoinferta

Una seconda funzione dell’autolesionismo è quella di auto-punirsi: in questo caso il soggetto si infligge dolore fisico per esprimere la rabbia verso se stesso, invece che nei confronti degli altri. Si tratta di persone caratterizzate da una forte componente autocritica e colpevolizzante.

E stata evidenziata una relazione fra gli abusi emotivi subiti nell’infanzia ed il successivo ricorso a condotte autolesive, in quanto gli abusi emotivi portano allo sviluppo di uno stile cognitivo fortemente auto-critico.

c) autolesionismo come definizione dei confini del sé

Le condotte autolesive sono modi per esercitare il controllo sul proprio corpo e sulle proprie emozioni e, attraverso questo controllo, per definire i limiti del proprio sé.

d) autolesionismo come comunicazione

L’autolesionismo rappresenta anche un modo per comunicare agli altri il proprio disagio. Attraverso le ferite, infatti, la propria sofferenza appare evidente, attira lo sguardo e l’attenzione e si riesce così ad esprimere e chiedere aiuto avvalendosi delle domande e dell’iniziativa degli altri.


Tipologie di autolesionismo

La natura dell’autolesionismo è molteplice: oltre alle diverse modalità con cui ci si può lesionare il corpo, molteplici sono anche le cause che spingono alle condotte autolesionistiche.

Negli anni Novanta, sono state identificate diverse tipologie di autolesionismo sulla base del grado di danneggiamento dei tessuti e sulla base degli schemi comportamentali:

L’AUTOLESIONISMO MAGGIORE consiste in atti infrequenti e isolati che provocano un danneggiamento dei tessuti grave e permanente; solitamente è associato alle psicosi o alle intossicazioni acute e include atti quali la castrazione e l’enucleazione oculare.

L’AUTOLESIONISMO STEREOTIPICO comprende comportamenti ripetuti in modo costante e ritmico, che sembrano essere privi di un significato simbolico, comunemente associati a grave ritardo mentale, all’autismo o alla sindrome di Tourette; ne sono esempi il mordersi o dare colpi con la testa.

L’AUTOLESIONISMO MODERATO O SUPERFICIALE consiste in atti episodici o ripetuti a bassa letalità che comportano un lieve danneggiamento dei tessuti corporei (tagli, bruciature, abrasioni). Il soggetto utilizza strumenti esterni come rasoi, lamette, forbicine e compie gesti autolesivi che solitamente hanno un significato simbolico, in genere relazionale. All’interno di questo autolesionismo moderato si identificano tre forme principali:

a) COMPULSIVO, come la tricotillomania (tirarsi icapelli) o l’onicofagia (mangiarsi le unghie); si tratta di una forma di discontrollo degli impulsi.

b) EPISODICO è invece un tentativo di riacquisire un senso di controllo e padronanza di fronte a emozioni e pensieri intollerabili, mettendo in atto comportamenti autolesivi come tagliarsi, bruciarsi o colpirsi.

c) RIPETITIVO, infine, è una dipendenza dal comportamento autolesivo, che può diventare identitario (Es. ‘sono un cutter’).


Fattori di rischio

Alcune condizioni o fattori sono in grado di aumentare il rischio di mettere in atto condotte autolesive, tra questi citiamo:

- l’età: gli adolescenti e i giovani adulti sono, come abbiamo visto, i soggetti più a rischio;

- avere amici o partner autolesionisti: frequentare soggetti che manifestano comportamenti autolesivi aumenta il rischio di imitare questo stesso tipo di condotta;

- aver vissuto eventi traumatici;

- soffrire di altre patologie psichiatriche: come il disturbo borderline della personalità, la depressione, l’ansia, il disturbo post traumatico da stress oppure i disturbi del comportamento alimentare;

- fare abuso di alcol o di sostanze stupefacenti.




L'autolesionismo come categoria diagnostica a sé stante

Solo di recente, con il  DSM-V , l’ultima edizione del manuale psichiatrico statistico diagnostico, l’autolesionismo non suicidario viene definito come categoria diagnostica a sé stante. I criteri per la diagnosi di autolesionismo proposti nel manuale sono


 Criterio A

Nell’ultimo anno, in cinque o più giorni, l’individuo si è intenzionalmente inflitto danni di qualche tipo alla superficie corporea in grado di indurre sanguinamento, lividi o dolore (per es. tagliandosi, bruciandosi, accoltellandosi, colpendosi, strofinandosi eccessivamente), con l’aspettativa che la ferita porti a danni fisici soltanto lievi o moderati (non c’è intenzionalità suicidaria).


 Criterio B

L’individuo è coinvolto in condotte autolesive con una o più delle seguenti aspettative:

1. Ottenere sollievo da una sensazione o uno stato cognitivo negativi

2. Risolvere una difficoltà interpersonale

3. Indurre una sensazione positiva


 Criterio C

L’autolesività intenzionale (le condotte autolesive) è associata ad almeno uno dei seguenti sintomi:

1. Difficoltà interpersonali e pensieri ed emozioni negativi (depressione, ansia, tensione, rabbia, disagio generalizzato, autocritica), che si verificano nel periodo immediatamente precedente al gesto autolesivo.

2. Prima di compiere il gesto autolesivo, presenza di un periodo di preoccupazione difficilmente controllabile riguardo al gesto autolesivo che l’individuo ha intenzione di commettere.

3. Pensieri di autolesività presenti frequentemente, anche quando il comportamento non viene messo in atto





David Klonsky, Nonsuicidal Self-Injury (parte della serie: Advances in Psychotherapy: Evidence Based Practice), Hogrefe Publishing, 2011

A.R. Favazza, R.J. Rosenthal, Problemi diagnostici nell'automutilazione, in Hospital & Community Psychiatry, 44 (2), 134–140. Banca dati : APA PsycInfo

R. Latella, C. Di Domizio, Cut scene. Un montaggio diverso sull’autolesionismo, Alpes 2025

M. Rossi Monti, A. D’Agostino, L’autolesionismo, Carrocci, 2009

L. Drappo, M. Casonato. Autolesionismo, Hoepli 2005